“Il sole mi stava chiamando. Dopo un lungo periodo di freddo infernale la primavera era ormai alle porte. Il cielo era limpido e il clima a dir poco perfetto. Non avevo scelta perché ormai la nostalgia di quei lunghi giri in bicicletta si faceva sentire… la soluzione era una e una soltanto: zaino in spalla e partire all’avventura. L’euforia era diventata in pochi secondi parte di me, la gioia mi scorreva nel sangue e sul mio volto era comparso un sorriso che nemmeno Samara sarebbe riuscita a togliermi. Mi preparai in fretta e furia; non potevo aspettare troppo altrimenti si sarebbe fatto buio, e inoltre la bici mi chiamava. Ero finalmente pronta. Presi le chiavi di casa e abbassai la maniglia del portone di ingresso. Con un leggero spavento mi resi conto che di fronte a me vi era una donna. Era mia madre di ritorno dal lavoro. In apparenza il nostro incontro potrebbe sembrare insignificante ma quell’incontro. Quell’incontro poteva voler dire una cosa soltanto: che la tentazione esiste ed è donna. Era arrivata la macchina.”
La tentazione è donna ci dice questo simpatico post feisbucchiano. Ma perché associamo la tentazione al genere femminile? La risposta l’ho data in parte nel precedente post parlando di Creazione. Già, perché è proprio dal racconto contenuto nel primo libro della Bibbia che derivano gran parte degli stereotipi associati al genere femminile. Rinfreschiamoci la memoria. Dio, dopo aver creato Adamo ed Eva, li mette a vivere nel giardino dell’Eden, comandando loro di nutrirsi liberamente dei frutti di tutti gli alberi presenti, tranne che dei frutti del cosiddetto albero della conoscenza del bene e del male. Ma i due, tentati dal serpente, mangeranno il frutto dell’albero proibito. In realtà è la donna che offre il frutto all’uomo, condannandolo al peccato e di conseguenza, alla morte.
Le donne erano considerate essere in stato di punizione a causa del peccato.
Le storie bibliche della creazione vennero interpretate come prova della permanente sottomissione delle donne all’uomo, come punizione.
I Padri della Chiesa ritennero le donne responsabili di aver portato il peccato originale nel mondo, e di essere fonte di continua seduzione; da qui ne deriva una reale “misoginia” ed una vera e propria persecuzione. La caccia alle streghe fu il risultato più eclatante di questa malata visione del genere femminile. Conoscete il Malleus Maleficarum? Conosciuto anche come Martello delle streghe, è un testo in latino, pubblicato nel 1487 da due frati domenicani allo scopo di reprimere in Germania l’eresia, il paganesimo e la stregoneria. Riscosse i consensi della quasi totalità degli inquisitori e di autorevoli ecclesiastici, nonché di giudici dei tribunali statali sive secolari, tanto che ne vennero pubblicate trentaquattro edizioni e oltre trentacinquemila copie impresse anche in edizione tascabile. Il Malleus Maleficarum rimase, fino alla metà del XVII secolo, il più consultato manuale sulla caccia alle streghe, sia da parte degli inquisitori cattolici, sia dei giudici protestanti, poiché spiega proposizione per proposizione come comportarsi in ogni singola occasione. Il libro è diviso in tre parti. La prima affronta la discussione sulla natura della stregoneria. Le donne, a causa della loro debolezza e a motivo del loro intelletto inferiore sono predisposte a cedere alle tentazioni di Satana. Il titolo stesso presenta la parola maleficarum (femminile) e gli autori dichiarano (erroneamente) che la parola femina (donna) deriva da fe + minus (fede minore). Alcuni degli atti confessati dalle streghe, quali ad esempio le trasformazioni in animali o mostri, sono mere illusioni indotte dal diavolo, mentre altre azioni, come ad esempio la possibilità di volare ai sabba, provocare tempeste o distruggere i raccolti sono possibili. Gli autori, inoltre, si soffermano con morbosa insistenza sulla licenziosità dei rapporti sessuali, che le streghe intratterrebbero con i demoni. La donna per secoli viene vista quindi come simbolo del male e del peccato, un oggetto da tenere lontano dall’uomo e utile solo a procreare. Tornerò a parlare in futuro e ad analizzare nel dettaglio questo manuale.
Ma in questo post vorrei soffermarmi sugli stereotipi di genere, ovvero quelle caratteristiche che associamo, senza nemmeno pensarci, agli uomini e alle donne.
Perché vi ho introdotto l’argomento parlando di Creazione e di Malleus Maleficarum? Semplicemente perché molti degli stereotipi di genere, soprattutto per quello che riguarda la figura della donna, provengono dal passato e da un’educazione religiosa difficile oggi da rimuovere. In senso ampio, va riconosciuto che i gruppi sociali, culturali, religiosi, politici praticano un’educazione di genere, che influenza il soggetto pur non ponendosi questo obiettivo. Quindi tutti noi, fin da bambini, siamo educati a vedere gli uomini e le donne in maniera diversa, associando al singolo genere delle caratteristiche ben definite.
Gli stereotipi sessisti assorbiti durante l’infanzia sono i più duri a morire, in quanto il cervello dei bambini in questa fase è estremamente plastico, quindi maggiormente ricettivo agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, e tuttavia sprovvisto degli strumenti necessari a filtrare le informazioni di cui viene bombardato. Come risultato, i dati immagazzinati in questo periodo della crescita sono tenacemente ancorati alla nostra memoria e diventano pertanto parte integrante del nostro essere persone.
“Le fiabe della tradizione propongono donne miti, passive, unicamente occupate alla propria bellezza, incapaci; le figure maschili sono attive, forti, coraggiose, leali e intelligenti. Le figure femminili delle favole generalmente appartengono a 2 categorie: le buone e inette o le malvagie. Nelle fiabe dei Grimm l’80% dei personaggi negativi sono femmine. Le poche figure femminili buone e positive, sono le fate che, però, non usano le proprie risorse personali, ma un magico potere conferito dall’esterno.
Senza andare troppo lontano nel tempo, con le storie centenarie della tradizione popolare, osserviamo che ancora oggi, all’inizio del Duemila, la scuola italiana continua a tramandare modelli di mascolinità e femminilità rigidi e anacronistici, sulla base dei quali gli alunni dei due sessi andranno a strutturare le rispettive identità di genere.>”
I cartoni della Disney, indubbiamente, trasmettono un sacco di messaggi positivi: possono spronare nell’essere altruisti e\o ottimisti, all’impegnarsi in quello che si fa, a cercare di cambiare il proprio destino, ecc ecc.. Ma nel 90% dei casi la bellezza delle protagoniste e il lieto fine con l’amore finalmente conquistato sono i temi preponderanti. Il messaggio trasmesso è che trovare l’amore della propria vita è lo scopo per una donna e la bellezza è il mezzo per conquistarlo.
Le figure femminili che appaiono in queste storie propongono modelli superati dall’attuale realtà sociale , infatti oggi le bambine vivono un vita dinamica, studiano, fanno sport ecc … , ma nelle favole e nei racconti le fanciulle restano fragili ed indifese in perenne attesa del principe azzurro che, con tanto di collant, piuma e cavallo, venga a sollevarle dalla loro, quasi certa, situazione di degrado al fine di ingravidarle e farle così vivere nel tanto agognato …e vissero felici e contenti.
Si narra, nella maggior parte dei casi di donne/bambine vanitose, unicamente interessate della loro bellezza, con un’innata predilezione per i guai a causa della loro stupidità mista ad un’immancabile ingenuità; mancano del tutto le donne intelligenti, coraggiose, attive, leali e nel momento in cui sono presenti, rappresentano in genere figure negative , invidiose, che vivono nell’ombra e utilizzano i poteri magici per commettere atti malvagi (le streghe… ricordate?).
Ma vediamo nel dettaglio le caratteristiche di alcune delle più famose “principesse” delle fiabe Disney.
BIANCANEVE (1937). Leggiadra fanciulla dalla pelle bianco latte con boccolosi capelli neri corvino. Dotata di una spiccata indole francescana, diletta con la sua voce soave gli animali vicino lei. Essendo stata insignita del titolo “La più bella del reame” da uno specchio parlante, è costretta alla fuga dall’invidiosa matrigna desiderosa del suo cuore. Fortunatamente trova aiuto nel guardiacaccia, riuscendo così a fuggire nei boschi. Occupa abusivamente una casetta, godendo per un breve periodo del diritto di usufrutto. Dopo aver dimostrato ai sette nani minatori di saper pulire e cucinare, ottiene l’incarico di colf che svolgerà senza retribuzione e contributi pagati. Biancaneve inizia perciò una vita nuova cucinando, pulendo e badando alla casa dei nani mentre loro cercano i diamanti nella miniera, e alla sera cantano, suonano e ballano.
La malefica strega scopre che Biancaneve è ancora viva, ed essendo fan del motto chi fa da sé fa per tre , si reca nel bosco, dopo essersi trasformata in un’orribile vecchina, per ucciderla. Giunta nei pressi della casetta, riesce a convincere l’ingenua fanciulla nel mordere la famigerata mela dei desideri (mela-tentazione, vi dice niente?) cadendo così in un catatonico stato di pseudo morte.
Successivamente è un susseguirsi dei soliti eventi: la strega muore, il solito principe cerca moglie innamorato della voce della principessa la trova, la bacia e… vissero felici e contenti.
Che dire di questa principessa? Ingenua fanciulla, incapace di badare a se stessa, con una spiccata propensione per i guai (persino gli uccellini avevano capito che la vecchina era la strega sotto mentite spoglie) e con un unico sogno : il principe con il cavallo che andrà a recuperarla e la porterà nel suo fantastico castello, con mille stanze da pulire, al fine di ingravidarla .
CENERENTOLA (1950). Una delle principesse più amate della storia della Disney. La povera, scalognata, virtuosa domestica e bellissima Cenerentola che viene costretta dalla matrigna e dalle sorellastre cattive, invidiose della sua sfolgorante bellezza, a lavorare come sguattera nella dimora di famiglia. Riesce a introdursi furtivamente al ballo del secolo grazie alla provvidenziale complicità di un gruppo di topi e di una fatina e ovviamente conquista l’ambito principe al primo sguardo. Poi si fa tardi, lei è costretta a fuggire senza dargli spiegazioni di sorta né un recapito di qualche genere, e perde la famosa scarpetta. Il principe, icona inconsapevole del movimento fetish, trascorre giornate intere trastullandosi con tale scarpetta, prima di essere folgorato sulla via di Damasco e stabilire di risolvere i propri dilemmi convolando con fanciulla il cui piedino la calzerà la pennello.
Gli stereotipi sessisti abbondano. C’è l’eterna rivalità/invidia tra donne. Il mito della bellezza femminile come chiave per spalancare ogni tipo di porta. La competizione per ottenere le attenzioni del maschio di turno e l’incapacità di lavorare in gruppo. L’esaltazione della figura femminile modesta che svolge i lavori più umili mantenendo intatta la propria purezza e virtù. L’idea che sarà l’incontro con l’Uomo Giusto a salvarla dai guai e a cambiarle la vita.
AURORA (1959). La bella addormentata nel bosco. Un classico pieno di pathos, amore e ovviamente tanti stereotipi. Il re e la regina di un posto molto lontano, finalmente riescono ad avere una bimba, Aurora. Si preparano feste, balli ai quali vengono invitate tre fate che fremono di dare i loro preziosi doni ( considerati delle virtù… ma da chi? ) alla fortunata pargola: Bellezza e capacità canore. All’improvviso ecco sbucare la strega cattiva con tanto di corvo che le lancia una bella maledizione: “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio… sarai così rincoglionita che, segregata e impossibilitata di parlare con alcuno, riuscirai a pungerti con un fuso e morirai!” Per fortuna Serenella non aveva ancora fatto il suo dono-virtù e così al posto di diventare un’ottima casalinga, bella e con spiccate doti canore si addormenterà in un sonno profondo e potrà risvegliarsi solo nel momento in cui, uno spavaldo principe cerca moglie, non le somministrerà il bacio del vero amore per ottenere la formula del …e vissero felici e contenti.
Il resto della storia è il classico iter seguito da tutte le favole: la principessa eccessivamente ingenua tocca il fuso e si addormenta, arriva il principe, uccide tutti i nemici, bacia la principessa e … e vissero felici e contenti.
ARIEL (1989). La storia è molto simile a quella di Cenerentola, e ne è per certi versi l’evoluzione, solo che lei è meno sfigata. La più giovane figlia del re degli abissi ha numerose sorelle, dalle quali non si sente molto compresa. Lei, infatti, prova un’attrazione fatale per tutto quello che proviene dalla terraferma e desidera ardentemente un paio di belle gambe. Salva la vita al principe di turno, inopinatamente sbalzato fuori dalla barca durante un nubifragio, e gli tiene compagnia intonando romanze marine mentre lui riprende conoscenza. Il ricordo della voce di lei rimane indelebilmente impresso nella mente di lui, che giura di sposare la proprietaria di quella voce tanto melodiosa (e ridaje!). Ariel decide quindi di ribellarsi all’autorità e al controllo paterno e baratta pinna e voce in cambio delle gambe con la medusa Ursula. Il principe tuttavia non la riconosce, e si infatua proprio della perfida Ursula, che nel frattempo ha assunto le sembianze di una bellissima donna dalla voce flautata. Ariel lotta con tutte le sue forze per l’uomo di cui è innamorata, ma la situazione sembra senza via di uscita. Il provvidenziale intervento del babbo di Ariel ha un ruolo cruciale e, in un crescendo di colpi di scena, Ursula sarà sconfitta e la nostra eroina sarà riconosciuta dallo sprovveduto principe grazie al recupero della sua voce e otterrà per sempre le gambe e con esse la possibilità di abbandonare il mare per trasferirsi definitivamente sulla terra. Qui sono presenti tutti gli stereotipi già citati per Cenerentola e per il suo principe, con l’aggiunta del fatto che Ariel ha “molto” da perdere nell’abbandonare il mondo marino nel quale è principessa, e che non esita a farlo per mettersi assieme a uno che manco venti minuti prima si sarebbe tranquillamente sposato la sua perfida antagonista solo perché questa aveva la sua voce. L’elemento di novità è rappresentato dalla maggior tipizzazione caratteriale di Ariel: se è vero che la curiosità della sirena sarà la causa di tutti i suoi guai, non possiamo non apprezzare l’energia con la quale si ribella al padre e alle norme sociali marine, e la determinazione con la quale affronta, da sola, le conseguenze delle proprie scelte.
POCAHONTAS (1995). Pocahontas è un po’ diversa dalle altre principesse, è , come tutte ,una donna affascinante e bella. Alta, snella, atletica e voluttuosa spicca immediatamente per la sua prestanza. Ha una chioma corvina, lunga e ribelle. Dimostra di essere gentile, innamoratissima e amante della natura, è uno spirito libero e risulta essere molto coraggiosa e determinata. È, inoltre, molto fiera di essere un’indiana e dimostra un carattere forte e testardo. Insomma una principessa atipica, capace di esprimere le proprie idee e non cascare nel mito del principe azzurro e del suo fantastico castello.
MULAN (1998). Mulan rappresenta una perfetta eroina: è una giovane donna che, con l’intento di salvare il padre rimasto zoppo in guerra e per riscattare l’onore perduto in quanto considerata poco adatta a fare la moglie, si traveste da uomo e parte per il campo di addestramento militare. Riuscirà, nonostante le tante difficoltà, a completare l’addestramento e guadagnare il rispetto dei suoi compagni grazie alla sua intelligenza.
Ed è sempre grazie alla sua intelligenza che riesce a cambiare le sorti della battaglia a favore del suo esercito e a salvare la vita dell’imperatore.
Siamo perciò alla presenza di un personaggio femminile Disney a dir poco atipico: una donna capace di badare a se stessa e che grazie alla sua perseveranza, caparbietà ed intelligenza riuscirà a sconfiggere il nemico rappresentato dall’esercito unno. Una donna che già all’inizio della storia, è poco incline a piegarsi a quei ruoli che la società dei suoi tempi le imponevano :la moglie.
Le principesse fin qui analizzate hanno sicuramente in comune l’eccezionale bellezza fisica, che viene sottolineata costantemente dalle parole e dai comportamenti degli altri personaggi, e che rappresenta il vero motore della storia.
Il messaggio che ne deriva è che se una ragazza non è bella verosimilmente non susciterà nessun tipo di emozione nelle persone che le stanno intorno e quindi nella sua vita non succederà mai nulla di eccitante o degno di essere raccontato.
Le donne intelligenti e attive rappresentano in genere figure negative , invidiose, che vivono nell’ombra e utilizzano i poteri magici per commettere atti malvagi e far del male ai protagonisti impedendo in qualche modo il loro amore. Le protagoniste leali e positive, solitamente rappresentano un ruolo femminile subordinato : sono belle, buone e gentili, ma poco adeguate alla sopravvivenza. Soprattutto, dipendono dall’arrivo del principe azzurro per diventare adulte realizzate .
Il principe, invece, dopo aver affrontato mille peripezie, combattuto contro mostri e draghi e superato prove difficilissime, realizza il proprio scopo e la ricompensa che riceve è sempre la stessa: troverà l’amore, la felicità, la ricchezza per poi un giorno diventare re , ovvero un adulto realizzato .
La maggior parte delle principesse delle favole rappresentano quindi dei modelli negativi e con una forte impronta maschilista e sessista poiché mostrano un modello di donna passiva, capace di riscattarsi solo in virtù dell’intervento maschile e senza del quale è costretta a vivere una vita degradante e triste, una donna che non sa salvarsi da sola, capace solo di essere bella, servizievole e di far innamorare il fantomatico principe. Insomma la donna è rappresentata come un essere incompleto, perennemente sottomessa e bisognosa di aiuto, come se non fosse capace di pensare a se stessa da sola.
Le favole sono ricolme di stereotipi che possono essere interiorizzati da chi le guarda: l’immagine stereotipata della principessa può trasmettere alle bambine un senso di impotenza, di attesa passiva del principe azzurro che risolverà ogni problema. La povertà può essere invece vista come una debolezza, un qualcosa di sbagliato a differenza invece della ricchezza che diviene addirittura un valore.
Le bambine, sempre secondo le favole, devono possedere un comportamento aggraziato e diligente mentre i bambini possono essere ingegnosi ed avventurosi.
Se le primissime principesse non hanno alcun tipo di spessore caratteriale (pensiamo ad Aurora che dorme per quasi tutto il cartone, o Biancaneve che passa il tempo a pulire e dormire), con Ariel compaiono gli elementi di ribellione e curiosità che caratterizzano anche le principesse successive
E’ forse un segnale del fatto che la Disney sta percependo i cambiamenti sociali in atto?
Molto probabilmente si; sta ai genitori, in primis, educare i figli in modo che non assimilino totalmente i vecchi stereotipi delle favole. Compito certamente non facile per una società, come la nostra, ancorata al passato.
In fondo la Disney &Co. trasmettono i messaggi che la società vuole vengano trasmessi, quindi il cambiamento, come in tutte le cose, deve partire dal singolo individuo. E’ l’unico modo, se vogliamo, per abbattere una volta per tutte le discriminazioni di genere e arrivare ad una vera parità dei sessi. Passo e chiudo.
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